Il 10 Settembre è la giornata mondiale per la prevenzione del suicidio, una giornata promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2003 e dall’Associazione Internazionale per la Prevenzione del Suicidio (IASP).
Proprio pochi giorni fa, il Telefono Azzurro ha diffuso i dati sulle segnalazioni ricevute nel primo semestre del 2023. I numeri, anzi, le persone che hanno chiesto aiuto, sono in aumento rispetto all’anno precedente di quasi il 40%, 20 richieste al giorno, arrivate prevalentemente dai giovani tra i 19 e i 35 anni, ma anche da adulti tra i 46 e i 55 anni. Non ci sorprende, purtroppo, che siano in aumento anche le richieste degli under 19.
Dati che ci devono far riflettere su almeno un duplice aspetto: uno riguarda la sofferenza che avvolge le persone, mentre il secondo è legato alla possibilità di chiedere aiuto.
Perché si arriva ad un gesto così estremo?
Il suicidio, prima di diventare passaggio all’atto, parla per lungo tempo attraverso una sofferenza sentita dalla persona come qualcosa di insopportabile, senza via d’uscita, un luogo buio e nero dove è difficile trovare immagini, sogni, speranza. Si vive nel regno della solitudine, anche se presenti gli affetti attorno non vengono sentiti. Ogni gesto viene privato del relativo piacere, si entra in un automatismo privo di risonanza emotiva. Si perde lo sguardo sul futuro, il presente è tremendamente pesante e schiacciante, diventa insopportabile pensare di passare una vita così.
Pensare di porre fine alla propria esistenza diventa allora l’unica soluzione, anche se estrema, che la persona trova per fuggire dal senso di solitudine e dall’angoscia che l’attanaglia e sperare di trovare un po’ di pace. Il gesto suicidario assume così un’altra funzione: l’illusione di riprendere il controllo sulla propria vita, di sentirsi nuovamente parte attiva e non più succube di un male che passivizza.
Molto spesso, il gesto suicidario è l’unico modo per dichiarare a tutti la propria sofferenza. Il significato del gesto va visto in chiave relazionale, come una comunicazione implicita che si fa all’altro che contiene non solo il messaggio di dolore, ma anche la speranza che l’altro ci veda, ci aiuti e ci salvi.
La possibilità di chiedere aiuto
Come sostenuto inizialmente, i dati diffusi dal Telefono Azzurro hanno una duplice valenza: la sofferenza è forte, è pervasiva, è schiacciante, e noi del Centro Clinico Plòion la conosciamo bene, la ascoltiamo nei giovani e negli adulti che seguiamo, negli adolescenti, nei racconti dei genitori spaventati per la vita dei propri figli. Ma gli stessi dati ci dicono anche che le persone si sentono di poter chiedere aiuto e trovare una soluzione alternativa al suicidio per iniziare a stare meglio. Se i numeri sono in aumento, vuol dire quindi che sempre più individui sperano di essere salvati: uscire dal silenzio iniziando ad esprimere parole.
L’altro, la comunità nel suo insieme, può aiutare e prevenire. Chiedere aiuto si può.
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Dott.ssa Sara Cappelli, Psicologa Psicoterapeuta
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